_«Il fiore è bello, il cavolo è utile, il papavero rende folli. Ma l’erba è straripamento, una lezione di morale.» (Henry Miller, Amleto)
“Donne”, presentato per la prima volta in occasione di un’esposizione tenuta nella Orangerie a Rheda Wiedenbrueck nel 2006, è un ciclo di dieci “ritratti” femminili.
Il progetto nasce su un doppio binario.
Da un lato l’esperienza personale, gli incontri e i racconti. Stare all’ascolto. Registrare. Parlare. Conoscere.
Dieci donne, di quattro generazioni, ma tutte provenienti dai paesini della provincia di Carrara: Fosdinovo, Pulica, Castelpoggio. Un microcosmo da raccontare, ma per immagini, per simboli.
C’è Gemma, che ha cent’anni e va tutti gli inverni nei boschi a far legna; un giorno si rompe un braccio, le mettono il gesso, ma lei se ne sbarazza subito, spezzandolo, per tornarsene nei boschi. A fare legna. E Giovanna, quasi una strega moderna, espertissima conoscitrice di erbe, che sa aiutarti, ma potrebbe anche farti male. E Luisa, agguerritissima vecchina, col suo trattore, che ara i campi, ma porta anche le medicine...
Dall’altro lato uno studio sui comportamenti e sulle caratteristiche delle erbe e delle piante. Alla ricerca dell’etica vegetale. C’è qualcosa di umano nelle piante? Oppure, al contrario: quanto assomigliamo alle piante?
Così, ad un tratto i binari si sono incontrati. Caratteri (umani) e caratteristiche (botaniche) hanno cominciato a fondersi sulla tela. Dapprima stazionano, si studiano. Poi si intrecciano fino a non distinguersi più. Il progetto si mette da parte. E nascono i quadri.
Un lessico pittorico della simbiosi tra donne e piante. Appunti pittorici per una fisiognomica vegetale.
Sul piano tecnico-stilistico, il ciclo rappresenta una svolta, segnata dall’incontro con le ricerche tecniche di Gianni Dova, da cui provengono alcune soluzioni, come l’uso della carta per le accentuazioni materiche del quadro, (tessuti, cartoncino).
Soluzioni che verranno radicalizzate fino all’inserimento di elementi vegetali (le foglie, i rami, in “Luisa-Ortica”) all’interno del dipinto.
Orlando De Marchis
Il progetto nasce su un doppio binario.
Da un lato l’esperienza personale, gli incontri e i racconti. Stare all’ascolto. Registrare. Parlare. Conoscere.
Dieci donne, di quattro generazioni, ma tutte provenienti dai paesini della provincia di Carrara: Fosdinovo, Pulica, Castelpoggio. Un microcosmo da raccontare, ma per immagini, per simboli.
C’è Gemma, che ha cent’anni e va tutti gli inverni nei boschi a far legna; un giorno si rompe un braccio, le mettono il gesso, ma lei se ne sbarazza subito, spezzandolo, per tornarsene nei boschi. A fare legna. E Giovanna, quasi una strega moderna, espertissima conoscitrice di erbe, che sa aiutarti, ma potrebbe anche farti male. E Luisa, agguerritissima vecchina, col suo trattore, che ara i campi, ma porta anche le medicine...
Dall’altro lato uno studio sui comportamenti e sulle caratteristiche delle erbe e delle piante. Alla ricerca dell’etica vegetale. C’è qualcosa di umano nelle piante? Oppure, al contrario: quanto assomigliamo alle piante?
Così, ad un tratto i binari si sono incontrati. Caratteri (umani) e caratteristiche (botaniche) hanno cominciato a fondersi sulla tela. Dapprima stazionano, si studiano. Poi si intrecciano fino a non distinguersi più. Il progetto si mette da parte. E nascono i quadri.
Un lessico pittorico della simbiosi tra donne e piante. Appunti pittorici per una fisiognomica vegetale.
Sul piano tecnico-stilistico, il ciclo rappresenta una svolta, segnata dall’incontro con le ricerche tecniche di Gianni Dova, da cui provengono alcune soluzioni, come l’uso della carta per le accentuazioni materiche del quadro, (tessuti, cartoncino).
Soluzioni che verranno radicalizzate fino all’inserimento di elementi vegetali (le foglie, i rami, in “Luisa-Ortica”) all’interno del dipinto.
Orlando De Marchis
_Senso proprio sulle mosche bianche
_
Senso proprio sulle mosche bianche
Accostandoci all’opera di Daniela Nienaber e attraverso la profondità del suo pensiero ci accorgiamo che ogni atto espresso è carico di poesia e di magia.
L’artista compie nel riquadro della singola tela un atto introspettivo rendendoci complici e partecipi, quasi a sottolineare quel nostro vissuto che riprende anche le più piccole cose e che ognuno cela nel profondo del proprio corpo.
Pensieri e sensazioni che “come mosche bianche” si liberano ed escono da prigioni, nella luce di un nuovo giorno per respirare e per nutrirsi.
L’opera della Nienaber riprende corpi e spazi che ci sorprendono e la cui superficie si carica di cupi colori: sono queste, composizioni che vanno oltre la facciata, in cui la voglia di leggerne l’intrinseca natura spazia oltre la crosta coloristica prendendoci per mano, quasi come fossimo ancora bambini, immersi nella nostra curiosità, nella solitudine e in quello stato emotivo in cui disperazione e paura diventano le componenti di un bizzarro momento.
Riflettendo, ci accorgiamo che l’artista non parla di un sé lacrimoso; l’artista non è vittima del proprio concetto creativo; il suo è un atto riflessivo, vitale.
I suoi quadri imrimono tranquillità, conquistano lo spazio semplificando la distanza tra il nostro sguardo e l’opera stessa, come se accostandoci sentissimo il loro profumo, il battito del loro cuore; insomma … una favola.
Rosanna Veronesi, giornalista della rivista EOS
Accostandoci all’opera di Daniela Nienaber e attraverso la profondità del suo pensiero ci accorgiamo che ogni atto espresso è carico di poesia e di magia.
L’artista compie nel riquadro della singola tela un atto introspettivo rendendoci complici e partecipi, quasi a sottolineare quel nostro vissuto che riprende anche le più piccole cose e che ognuno cela nel profondo del proprio corpo.
Pensieri e sensazioni che “come mosche bianche” si liberano ed escono da prigioni, nella luce di un nuovo giorno per respirare e per nutrirsi.
L’opera della Nienaber riprende corpi e spazi che ci sorprendono e la cui superficie si carica di cupi colori: sono queste, composizioni che vanno oltre la facciata, in cui la voglia di leggerne l’intrinseca natura spazia oltre la crosta coloristica prendendoci per mano, quasi come fossimo ancora bambini, immersi nella nostra curiosità, nella solitudine e in quello stato emotivo in cui disperazione e paura diventano le componenti di un bizzarro momento.
Riflettendo, ci accorgiamo che l’artista non parla di un sé lacrimoso; l’artista non è vittima del proprio concetto creativo; il suo è un atto riflessivo, vitale.
I suoi quadri imrimono tranquillità, conquistano lo spazio semplificando la distanza tra il nostro sguardo e l’opera stessa, come se accostandoci sentissimo il loro profumo, il battito del loro cuore; insomma … una favola.
Rosanna Veronesi, giornalista della rivista EOS
Click here to edit.
_
Daniela Nienaber, si avvale di una tecnica
pittorica piuttosto elaborata, matericamente pluristratificata. Ma ciò è
solamente l’aspetto formae delle sue opere. Sopra ad una base di forma
asimmetrica e poliedrica, sovrappone i protagonisti. Sono visi e cori che
comunicano tra loro le problematiche di un tema e di conseguenza di un
rapporto: elementi basilari nell’essere umano. Dalla descrizione dei sette
peccati capitali ad altri temi meno “importanti”, Daniela riesce a comunicare
tante emozioni senza mai giungere ad una rappresentazione troppo inquietante;
anzi in certi casi, a seconda dell’argomento, perfino serena. Comunque vera.
Sono i “ritratti” delle emozioni più intime che ognuno di noi ha nelle nostre
anime, e che Daniela riesce a trasmettere anche attraverso la fisionomica. I
visi spigolosi, dove raramente c’è un sorriso, ma sempre molta intensità,
possono evocare sotto il profilo antropologico, certi aspetti iconografici
delle arti precolombiane. Le stratificazioni materiche e cromatiche hanno un certo
“peso”, come se attraverso ciò, Daniela volesse comunicare oltre l’intensità,
anche la pluralità della natura umana. La sua chiave cromatica non è certo
solare, è molto introspettiva, ma rappresenta lo spettro di tutta la realtà dei
sentimenti, dal più problematico al più sereno.
Giorgio Macchi
Giorgio Macchi
Click here to edit.
_
Daniela vi racconterà una storia.
Come quella che narra del perché Luisa assomiglia all’ortica.
E’ diretta Daniela.
Parla e vi guarda.
Ma non vi vede.
Ripercorre la memoria degli eventi seguendo i tratti di una pittura che si fa materia per meglio rappresentare la vita in essa contenuta.
Vive di vita propria il racconto di Daniela.
Anche se è appeso alla parete vi osserva con occhi misteriosi e sembra quasi vi voglia ghermire con le sue evocazioni.
Daniela ci racconterà una storia.
Sarà la sua storia.
Ma solo per poco.
Comunque diventerà la nostra.
Critica di Dario Campagnolo
Come quella che narra del perché Luisa assomiglia all’ortica.
E’ diretta Daniela.
Parla e vi guarda.
Ma non vi vede.
Ripercorre la memoria degli eventi seguendo i tratti di una pittura che si fa materia per meglio rappresentare la vita in essa contenuta.
Vive di vita propria il racconto di Daniela.
Anche se è appeso alla parete vi osserva con occhi misteriosi e sembra quasi vi voglia ghermire con le sue evocazioni.
Daniela ci racconterà una storia.
Sarà la sua storia.
Ma solo per poco.
Comunque diventerà la nostra.
Critica di Dario Campagnolo